Ammetto la mia ignoranza! Non conoscevo infatti l'esistenza di un isola che si chiamasse Santa Lucia. Tuttalpiù conoscevo la chiesetta del rione storico di Salerno dove si danno appuntamnento tutte le donne gravide nel mese di dicembre.
Ho scopero che si tratta di un'isola delle Antilelle e che il primo europeo che vi mise piede era un tal esploratore spagnolo Juan de la Costa intorno al 1500.
Gli ultimi europei invece hanno pensato di utilizzare l'isola come paradiso fiscale, intrecci di finaza e politica, che rappresenta l'argomento più importante della attuale Politica italiana.
La capitale ha un nome profetico che il Presidente Fini ha sottovalutato: Castries. L'altra per importanza si chiama Soufriere. Non aveva scampo il nostro Presidente.
Disoccupazione, Sfascio della Sanità, emergenze continue tra rifiuti, terremoti e calamità naturali e tanti importantitssimi problemi sembrano diventare di secondaria importanza per i nostri governati. La priorità alla lotta civile interna al palazzo senza alcun esclusione di colpi.
Tra i tanti discorsi storici alla nazione, compreso quello di Mussolini in piazza Venezia, mi sento di inserire anche quello di Gianfranco Fini a mezzo yuo Tube.
A tanto Squallore non potevo che preferire un montaggio abilmente costruito su base dei mitici SQUALLOR.....
Vocidipiazza
Raito Salus Infirmorum. Era scritto " salute degli infermi" alla rampa lassù che ti cercava, paese di dolcezza per gli inverni, un paese così come si dava fosse in quel tempo con la vita uguale alla vita, al suo mietere lontano. Giusto per l'ombra il sole, giusto il male per dar tempo alla morte, sul divano di seta d'oro impallidiva il biondo scozzese pettinando eternamente la moglie innamorata, il volto tondo in quella dolce eternità del niente.
9/26/2010
9/25/2010
Coste Avvelenate.
Vietata pesca, acquisto ed il consumo di molluschi provenienti dalla costa salernitana, questa è l’ordinanza sindacale che obbliga la popolazione locale ed i turisti a fare molta attenzione ai frutti di mare che si stanno comprando.
La disposizione è diventata subito attiva dal momento in cui sono state effettuate delle analisi in laboratorio per la valutazione dello stato di salute dei molluschi; a seguito di tali approfondimenti, sono stati riscontrati batteri molto resistenti capaci di intossicare chiunque li ingerisca.Nelle zone di Fuenti fino a Vietri Sul Mare e ad Erchie, parte del Comune di Maiori, sono state trovate consistenti tracce della «Ostreopsis Ovata», microalga tossica che crea diversi danni di salute, nel momento in cui s’ingeriscano i frutti di mare.
A seguito di tali notizie, per salvaguardare la salute dei cittadini dell’area di Salerno, l’Asl locale ha deciso di vietare l’acquisto dei molluschi incriminati.
Da: Blog Salerno
9/24/2010
I Neo Longobardi.
Cresce il fronte seccessionista anche in Campania.
Procede infatti a passo spedito l'iter politico-amministrativo che dovrebbe concludersi con la nascita della nuova regione: questo pomeriggio a Palazzo Sant'Agostino sarà costituito il comitato promotore dell'iniziativa per il nuovo territorio regionale che potrebbe chiamarsi Longobardia o Principato di Salerno. A presiederlo il consigliere regionale, nonché esponente del gruppo Pdl-Principe Arechi in consiglio provinciale, Giovanni Fortunato. «In questo momento — dice Fortunato — ci sono tutte le condizioni previste dalla Costituzione per raggiungere il risultato di fare del Salernitano una regione a sé stante. Abbandonare Napoli, città afflitta da problemi che non si risolveranno mai, è l'unica possibilità che abbiamo per utilizzare le risorse dei nostri territori al fine di garantirne lo sviluppo e la crescita».
Prima i neo Borbonici, adesso i Longobardiani, cresce la voglia di ritornare all'Italia feudale, fatta di casati e ducati con confini sempre più stretti e accentuati poteri centali.Sembra che i comuni di Cava e Pagani abbiano già votato una mozione a favore del progetto che dovrebbe coronare il sogno di incoronare Re Edmondo alla testa del feudo.
La prima città Campana conquistata dai Longobardi fu Benevento nel 570 dal duca Zottone che fondò il Ducato di Benevento. Nel tentativo successivo di raggiungere il mare, attacco inutilmente Napoli, allora si diresse Nocera, Capua, Nola , Caserta, la fertile Terra di Lavoro e quindo verso la piana del Sele e Pestana.
A Zottone successe Arechi I(590-649) che allargò i confini del Ducato meridionale creando la Longobardia Minor che comprendeva Salerno come sbocco marino.
Il futuro duca Edmondo preme per la creazione del Principato di Salerno,unico e solo territorio già di forte egemonia.
Altri propendono per un Principato allargato con Avellino e Benevento, una neo Longobardia "troppo Minor".
Nella ridda di progetti, tornati d'attualità in queste ultime settimane, finalizzati a ridisegnare i confini della Regione Campania sembra, però, avviarsi al tramonto quello della Grande Lucania. Così è stato definito il tentativo promosso da alcuni comuni del Vallo di Diano di "traslocare" in Basilicata, risposta alla più volte denunciata disattenzione di Provincia e Regione verso il lembo estremo della Campania. Ebbene, gli sforzi dei promotori del progetto Grande Lucania hanno portato nei mesi scorsi tredici comuni del Vallo di Diano a votare la delibera destinata ad innescare il processo destinato a concludersi con il referendum. L'iter politico-amministrativo, però, una volta avviato sembra aver ceduto il passo a quello del Principato di Salerno.
Il vento seccessionasti sembra soffiare ad alta velocità e conferma la propensione federalista della nostra Italia proprio alle soglie dei 150 anni dalla sua unità. Non è bastato un secolo e mezzo per fare gli Italiani!!
Vocidipiazza
9/21/2010
Identificato il gene della stupidità.
A proposito di ricerca e di ricercatori, un campo affine alla mia formazione professionale,Vi segnanalo una curiosa ricerca sperimentale sui Topi che, se confermata sugli uomini, potrebbe cambiare le sorti della nostra vita.
Un esempio lampante dell'importanza della ricerca scientifica che a giorni celebriamo anche a Vietri .
Ho trovato una similitudine tra la politica e la ricerca. Entrambi si muovono in ambiti specifici e accessibili a pochi,spesso invisibili e impertecittibili, lavorano nel silenzio e nella indifferenza della popolazione. Mesi, anni di incarchi e impegni, anche notturni!! senza concezione del tempo.
La scienza con le sue innumerevoli scoperte ha cambiato la nostra vita.
La politica ha "scoperto" il sistema per rovinarcela.
Vocidipiazza
Disabilitando un solo gene nei topi gli animaletti diventano più intelligenti e meno smemorati. I ricercatori dell'università americana di Emory, Atlanta, l'hanno già ribattezzato il "gene Homer Simpson". Se tuttavia spegnere e attivare in modo mirato questo gene per aumentare l'intelligenza anche nell'uomo è il sogno di molti scienziati, le conseguenze possono essere impreviste, avvertono gli esperti. Accrescere l'intelligenza nell'uomo azionando o spegnendo semplicemente un singolo gene resta per ora una visione della scienza.
I Topi hanno questo gene. Tuttavia pur avendo i topi una biologia simile alla nostra, i risultati dei test sugli uomini potrebbero divergere. La scoperta non significa solo che siamo in grado di essere più intelligenti, può essere un'ottima notizia anche per le persone affette da Alzheimer».Un esempio lampante dell'importanza della ricerca scientifica che a giorni celebriamo anche a Vietri .
Ho trovato una similitudine tra la politica e la ricerca. Entrambi si muovono in ambiti specifici e accessibili a pochi,spesso invisibili e impertecittibili, lavorano nel silenzio e nella indifferenza della popolazione. Mesi, anni di incarchi e impegni, anche notturni!! senza concezione del tempo.
La scienza con le sue innumerevoli scoperte ha cambiato la nostra vita.
La politica ha "scoperto" il sistema per rovinarcela.
Vocidipiazza
9/18/2010
Ricerca Scientifica In Italia:si attende il giorno... dopo la lunga notte!!
Sono appena rientrato da un congresso scientifico internazionale, uno di quelli cui partecipo con una certa regolarita’ per il mio lavoro di ricerca. Come sempre, considero vagamente umiliante leggere sul mio cartellino di delegato le lettere “U.S.A.” sotto il mio nome. Io sono a tutti gli effetti un cittadino Italiano, nato, cresciuto ed educato per la maggiorparte della mia vita accademica in Italia. Ovviamente devo moltissimo all’apertura mentale della comunita’ scientifica americana che ha di fatto reso possibile la mia ricerca, ma sarei piu’ soddisfatto se sul quel cartellino ci fosse la parola “Italia”.
Parli con i tuoi colleghi, siano essi Americani, Inglesi, Tedeschi, Spagnoli o altro e prima o poi ti accorgi dell’incongruenza. Dopo anni di esperienza all’estero, la maggiorparte dei ricercatori che incontro tornano a lavorare nel proprio Paese. C’e’ chi si lamenta piu’ di altri delle condizioni, chi e’ piu’ fortunato e chi meno, ma bene o male per loro l’idea di riportare la propria esperienza nel proprio Paese e’ tanto naturale quanto possibile. Per gli Italiani no.
Questo e’ un danno incommensurabile che l’Italia reca a se' stessa. Ci si lamenta spesso dello stereotipo che il mondo ha del nostro Paese. Molti di voi (e talvolta anche io) e’ pronto senza esitazione ad accusare Berlusconi di danneggiare l’immagine dell’Italia all’estero. Eppure io vi dico che il fatto che da noi sia cosi’ difficile fare ricerca ad alto livello, che i nostri ricercatori di valore siano quotidianamente ostacolati se non addirittura allontanati (o tenuti lontano), tutto questo e’ un danno ancora peggiore.
Di Berlusconi chi vuole puo’ ridacchiare e sospirando concludere che passera’. Dell’assenza di un sistema competitivo per fare ricerca in Italia si puo’ solo rimanere angosciati. Perche’ siamo a zero. A meno di zero. Chi non vive questa situazione in prima persona non se ne rende nemmeno conto. Altro che le veline a palazzo Grazioli. Il mondo ci prende per analfabeti. Quale nazione vuole rinunciare ad una fetta di avvenire? Quale societa’ che aspira ad essere moderna decide di non partecipare alla creazione di nuove idee?
Non e’ una questione di soldi, e per larghissima parte nemmeno di infrastrutture. E’ una questione di mentalita’. Il merito deve prevalere sull’anzianita’ e sui rapporti clientelari. Puo’ sembrare troppo semplice, ma invece e’ cosi’.
Parlavo con un Italiano che voleva spiegarmi i contorti meccanismi delle leggi sui cosidetti “rientri dei cervelli”. Si e’ subito tradito, o meglio ha subito tradito la mentalita’ perdente italiana. Mi spiegava come borse di questo tipo dovessero in principio aiutare il ricercatore a rientrare per qualche anno nel sistema italiano, per dargli o darle cosi’ il tempo di “conoscere e farsi consocere”. Capite? Non di lavorare bene e pubblicare risultati importanti su riviste internazionali. Ma che significa “conoscere e farsi conoscere”? Non e’ mica un cocktail party!
Un altro giorno chiaccheravo con un giovane e brillante ricercatore americano che e’ stato appena chiamato dal governo Austriaco a dirigire un centro di ricerca (con soldi pubblici) a Vienna. Mi diceva quale pensava sarebbero state le sue prime mosse, ed immediatamente disse quanto importante sarebbe stato rivedere il pacchetto-offerta per nuovi ricercatori, per renderlo competitivo con altri istituti nel mondo. Se vuoi fare buona ricerca, hai bisogno dei migliori, e questi vanno dove le condizioni sono le migliori. Sorridendomi diceva “se vuoi attirare i migliori ricercatori Italiani, devi avere sul tavolo una buona offerta”. Ovviamente nemmeno per un istante pensava di dovere competere con l’Italia stessa, ma semmai con la Svizzera o gli Stati Uniti.
Che tristezza, mentre gli altri Paesi si sforzano per rendere competitivo il proprio sforzo scientifico, l’Italia fa gli scioperi contro il taglio del doposcuola. Merito e competizione, queste dovrebbero essere gli unici parametri per ricreare una comunita’ scientifica in Italia. Tanto per cominciare, merito significherebbe rivedere completamente i criteri di assunzione dei ricercatori, mentre la competizione potrebbe cominciare con l’eliminazione del valore legale di laurea e dottorato (cosi’ che conterebbe in quale istituto questo e’ stato conseguito).
La ricerca scientifica e’ la valvola di sfogo della creativita’ di una Nazione. E’ la sorgente di idee che hanno il potere di rivoluzionare la nostra vita. Rinunciare a questo significa rinunciare al palcoscenico delle Nazioni che contano, che contribuiscono alla cultura e al progresso dell’umanita’. L’Italia ha una storia ed una tradizione scientifica di altissimo livello, vogliamo ridurci ad un Paese senza voce in capitolo per il futuro?
Ditemi voi
DV
da :Orizzonti Liberali.
9/11/2010
Pari Opportunità.
Le funzioni e i compiti dei consiglieri di parità (nazionale e locali) si sostanziano nella rilevazione di situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione e garanzia contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella formazione e progressione professionale e di carriera, nella promozione di progetti di azioni positive anche per garantire la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità, nel sostegno delle politiche attive del lavoro, nella promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro, nello svolgimento di inchieste indipendenti, relazioni indipendenti e raccomandazioni in tema di discriminazioni sul lavoro.
La figura del consigliere nazionale di parità (insieme ai consiglieri regionali e provinciali) è disciplinata dal d. lgs. n. 198/2006, che agli artt. 12 e 13 detta la procedura della nomina da parte del Ministro per il lavoro di concerto con quello delle pari opportunità, in capo a soggetti (di ambo i sessi) in possesso di determinati requisiti professionali e specifiche esperienze. Per le nomine dei consiglieri a livello locale si provvede su designazione delle regioni e delle province. Il mandato è di quattro anni ed è rinnovabile una sola volta. Secondo la modifica introdotta dall’art. 1 del d. lgs. n. 5/2010 la rinnovazione è consentita per non più di due volte.Le funzioni e i compiti dei consiglieri di parità (nazionale e locali) sono specificati nell’art. 15 e si sostanziano nella rilevazione di situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione e garanzia contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella formazione e progressione professionale e di carriera, nella promozione di progetti di azioni positive anche per garantire la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità, nel sostegno delle politiche attive del lavoro, nella promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro, nello svolgimento di inchieste indipendenti, relazioni indipendenti e raccomandazioni in tema di discriminazioni sul lavoro.
I consiglieri di parità regionali e provinciali presentano annualmente un rapporto sull’attività svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. In caso di mancata presentazione del rapporto decadono dalla nomina con provvedimento interministeriale.
All’ ufficio del consigliere nazionale di parità e alla relativa provvista di personale e strutture provvede il Ministero del lavoro presso cui l’organismo opera, con autonomia funzionale.
I tre livelli, nazionale, regionale e provinciale, sono collegati tra di loro attraverso un sistema di rete al cui vertice è collocato l’organismo nazionale.
http://www.consiglieraparitasalerno.it/forma/homepage/homepage_ID296.php
9/10/2010
Energie alternative, a Bracigliano un sito ad alta tecnologia
A Bracigliano un sito per la produzione di energia alternativa. Sorgerà, presumibilmente nell’area Pip (Piano per gli insediamenti produttivi), un moderno impianto a biogas di digestione anaerobica dei rifiuti. Bracigliano si conferma, quindi, città “verde”, all’avanguardia nel settore ambientale e delle energie alternative. Il progetto, promosso dall’Amministrazione comunale, guidata dal sindaco Ferdinando Albano, ha ricevuto il pieno appoggio dell’Unione dei Comuni “Valle dell’Orco” (di cui fanno parte anche gli Enti comunali di Calvanico, Castel San Giorgio e Siano). Dell’iniziativa si parlerà durante il convegno, dal titolo “Percorsi per un’economia eco-sostenibile; i nostri rifiuti la nostra ricchezza”, in programma sabato 11 settembre (alle ore 10;00), presso l’aula consiliare del Comune di Bracigliano.
Saranno presenti, fra gli altri, i membri dell’Amministrazione comunale di Bracigliano, Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania, Gerardo Calabrese, assessore all’Ambiente del Comune di Salerno, Giovanni Romano, assessore all’Ambiente della Regione Campania, Adolfo Urso, vice ministro alle Attività Produttive, gli europarlamentari Enzo Rivellini e Salvatore Tatarella, Bianca D’Angelo, segretario della Commissione Attività Produttive della Regione Campania (si veda il programma dettagliato alla fine del comunicato). Sono stati invitati i sindaci dell’Alto Sarno che saranno coinvolti nell’iniziativa. Il convegno sarà aperto da un minuto di silenzio in onore del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo.
“Il rinnovamento delle risorse/rifiuti – spiega il sindaco Albano, presidente dell’Unione dei Comuni “Valle dell’Orco” – è al centro del discorso eco-sostenibile, ed è visto come capacità intrinseca del mondo di trasformarsi in maniera ciclica, capacità che va difesa per non modificare i delicati equilibri terrestri. Con questo convegno si vuole trattare il problema dei rifiuti. C’è da chiedersi, quindi: i rifiuti possono essere una ricchezza? Alla domanda rispondiamo di “sì”, e lo facciamo con i fatti”. Non a caso l’Amministrazione comunale ha puntato molto, in questi anni, sulla raccolta differenziata (con il sistema del porta a porta), che ha reso il comune uno dei più virtuosi della provincia di Salerno.
“Il nostro Comune – afferma il vice sindaco di Bracigliano, Gianni Iuliano – non è stato nemmeno sfiorato dall’emergenza rifiuti. Siamo stati fra i primi, circa dieci anni fa, a partire con la raccolta “porta a porta” e, grazie alla lodevole partecipazione di tutti i cittadini di Bracigliano, siamo riusciti a tenere pulito il territorio comunale e a contenere la tassa sui rifiuti. Il progetto, che presentiamo sabato in Comune, invece, prevede la realizzazione di un impianto per la produzione di energia alternativa. Si tratta di un impianto a biogas di digestione anaerobica dei rifiuti che ci permetterà di produrre energia pulita e di ottenere un risparmio energetico, ma anche di sostenere l’economia locale, di valorizzare il sottobosco, prevenire gli incendi e, di conseguenza, migliorare l’assetto idrogeologico del nostro territorio”.
Comunicato Stampa.
Saranno presenti, fra gli altri, i membri dell’Amministrazione comunale di Bracigliano, Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania, Gerardo Calabrese, assessore all’Ambiente del Comune di Salerno, Giovanni Romano, assessore all’Ambiente della Regione Campania, Adolfo Urso, vice ministro alle Attività Produttive, gli europarlamentari Enzo Rivellini e Salvatore Tatarella, Bianca D’Angelo, segretario della Commissione Attività Produttive della Regione Campania (si veda il programma dettagliato alla fine del comunicato). Sono stati invitati i sindaci dell’Alto Sarno che saranno coinvolti nell’iniziativa. Il convegno sarà aperto da un minuto di silenzio in onore del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo.
“Il rinnovamento delle risorse/rifiuti – spiega il sindaco Albano, presidente dell’Unione dei Comuni “Valle dell’Orco” – è al centro del discorso eco-sostenibile, ed è visto come capacità intrinseca del mondo di trasformarsi in maniera ciclica, capacità che va difesa per non modificare i delicati equilibri terrestri. Con questo convegno si vuole trattare il problema dei rifiuti. C’è da chiedersi, quindi: i rifiuti possono essere una ricchezza? Alla domanda rispondiamo di “sì”, e lo facciamo con i fatti”. Non a caso l’Amministrazione comunale ha puntato molto, in questi anni, sulla raccolta differenziata (con il sistema del porta a porta), che ha reso il comune uno dei più virtuosi della provincia di Salerno.
“Il nostro Comune – afferma il vice sindaco di Bracigliano, Gianni Iuliano – non è stato nemmeno sfiorato dall’emergenza rifiuti. Siamo stati fra i primi, circa dieci anni fa, a partire con la raccolta “porta a porta” e, grazie alla lodevole partecipazione di tutti i cittadini di Bracigliano, siamo riusciti a tenere pulito il territorio comunale e a contenere la tassa sui rifiuti. Il progetto, che presentiamo sabato in Comune, invece, prevede la realizzazione di un impianto per la produzione di energia alternativa. Si tratta di un impianto a biogas di digestione anaerobica dei rifiuti che ci permetterà di produrre energia pulita e di ottenere un risparmio energetico, ma anche di sostenere l’economia locale, di valorizzare il sottobosco, prevenire gli incendi e, di conseguenza, migliorare l’assetto idrogeologico del nostro territorio”.
Comunicato Stampa.
9/07/2010
Lo scandalo della democrazia
di ROBERTO SAVIANO
DUE pistole che sparano, le pallottole che colpiscono al petto, un agguato che sembra essere anche un messaggio. Così uccidono i clan. Così hanno ucciso Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno. Si muore quando si è soli, e lui - alla guida di una lista civica - si opponeva alle licenze edilizie, al cemento che in Cilento dilaga a scapito di una magnifica bellezza. Ma Angelo Vassallo rischia di morire per un giorno soltanto e di essere subito dimenticato.
Come se fosse normale, fisiologico per un sindaco del meridione essere vittima dei clan. E invece è uno scandalo della democrazia. Del resto - si dice - è così che va nel sud, accade da decenni. "Veniamo messi sulla cartina geografica solo quando sparano. O quando si deve scegliere dove andare in vacanza", mi dice un vecchio amico cilentano. In questo caso le cose coincidono. Terra di vacanze, terra di costruzioni, terra di business edilizio che "il sindaco-pescatore" voleva evitare a tutti i costi.
Questa estate è iniziata all'insegna degli slogan del governo sui risultati ottenuti nella lotta contro le mafie. Risultati sbandierati, urlati, commettendo il grave errore di contrapporre l'antimafia delle parole a quella dei fatti. Ma ci si deve rendere conto che non è possibile delegare tutto alle sole manette o al buio delle celle. Senza racconto dei fatti non c'è possibilità di mutare i fatti.
E anche questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso. Ma lo spazio e la luce dati alla terra dei clan sono sempre troppo pochi. I magistrati fanno quello che possono. I clan dell'agro-nocerino in questo momenti sono tutti sotto osservazione: quelli di Scafati capeggiati da Franchino Matrone detto "la belva", o gli uomini di Salvatore Di Paolo detto "il deserto", quelli di Pagani capeggiati da Gioacchino Petrosino detto "spara spara", il clan di Aniello Serino detto "il pope", il clan Viviano di Giffoni, i Mariniello di Nocera inferiore e Prudente di Nocera superiore, i Maiale di Eboli.
Il fatto è che il Cilento, terra magnifica, ha su di sé gli occhi e le mani delle organizzazioni criminali che, quasi fossero la nemesi della nostra classe politica, eternamente in lotta, si scambiano favori, si spartiscono competenze pur di trarre il massimo profitto da una terra che ha tutte le caratteristiche per poter essere definita terra di nessuno e quindi terra loro. I Casalesi sono da sempre interessati all'area portuale, così come i Fabbrocino dell'area vesuviana hanno molti interessi in zona. Giovanni Fabbrocino, nipote del boss Mario Fabbrocino, gestisce a Montecorvino Rovella, un paesino alle soglie del Cilento, la concessionaria della Algida nella provincia più estesa d'Italia, il Salernitano appunto. Il clan Fabbrocino è uno dei più potenti gruppi camorristici attualmente noti e intrattiene legami con i calabresi.
Oggi le 'ndrine nel Salernitano contano molto di più e hanno interessi che vanno oltre lo scambio di favori. Il porto di Salerno, su autorizzazione dei clan di camorra, è sempre stato usato dalle 'ndrine per il traffico di coca, soprattutto da quando il porto di Gioia Tauro è divenuto troppo pericoloso. Il potentissimo boss di Platì Giuseppe Barbaro, per esempio, è stato catturato a dicembre 2008 mentre faceva compere natalizie a Salerno. In tutto questo, il cordone ombelicale che ha legato camorra e 'ndrangheta porta un nome fin troppo evidente: A3, ovvero autostrada Salerno-Reggio Calabria. Nel Salernitano sono impegnate diverse ditte dalla reputazione tutt'altro che specchiata. La "Campania Appalti srl" di Casal di Principe avrebbe dovuto costruire le strade intorno al futuro termovalorizzatore di Cupa Siglia. L'impresa delle famiglie Bianco e Apicella è stata raggiunta da un'interdittiva antimafia dopo le indagini della sezione salernitana della Direzione Investigativa Antimafia. Secondo gli investigatori, l'impresa rientra nel giro economico del clan dei Casalesi ed è nelle mani di uomini vicini a Francesco Schiavone.
È così diverso oggi dagli anni '80 e '90? Di che territorio stiamo raccontando? Di una Regione dove per la gare d'appalto per la raccolta rifiuti bisogna chiamare una impresa ligure perché in Campania non se ne trova una che non abbia legami con la camorra. Nemmeno una. Se da un lato si arresta dall'altro lato non c'è affatto una politica che tenda a interrompere il rapporto con le organizzazioni criminali. L'attuale presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro, soprannominato "Gigino a' purpetta" (Luigino la polpetta), fu arrestato nel 1984 in un'operazione contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Nel 1985 il Tribunale di Napoli condannò Cesaro a 5 anni di reclusione "per avere avuto rapporti di affari e amicizia con tutti i dirigenti della camorra napoletana fornendo mezzi, abitazioni per favorire la latitanza di alcuni membri, e dazioni di danaro". Nel 1986 in appello il verdetto fu ribaltato e Cesaro venne assolto per insufficienza di prove. La decisione fu poi confermata dalla Corte di Cassazione presieduta dal noto giudice ammazza sentenze Corrado Carnevale. Ma, come ha raccontato L'Espresso, nonostante Cesaro sia stato scagionato dalle accuse, gli stessi giudici che lo hanno assolto hanno stigmatizzato il preoccupante quadro probatorio a suo carico. Durante il processo, in aula, furono infatti confermati gli stretti rapporti che l'attuale presidente della provincia di Napoli intratteneva con i vertici della Nco (incluso don Raffaele Cutolo). Si parlava di una "raccomandazione" chiesta a Rosetta Cutolo, sorella di Raffaele, per far cessare le richieste estorsive di Pasquale Scotti, personaggio tuttora ricercato ed inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia. (Consiglio caldamente di fare una piccola ricerca su youtube per "Luigi Cesaro esilarante", ascolterete un monologo del presidente della provincia che sarà più eloquente delle mie parole).
Tutto questo non si può tacere. E chi lo tace è complice. Mi viene da chiedere a chi in questo momento sta leggendo queste righe se ha mai sentito parlare di Federico Del Prete, sindacalista ucciso nel 2002 a Casal di Principe. Se ha mai sentito parlare di Marcello Torre, sindaco di Pagani ucciso nel 1980 perché cercava di resistere a concedere alla camorra gli appalti per la ricostruzione post terremoto. E di Mimmo Beneventano vi ricordate? Consigliere comunale del Pci, trentadue anni, medico, fu ucciso nel 1980 a Ottaviano per ordine di Raffaele Cutolo perché ostacolava il suo dominio sulla città. E di Pasquale Cappuccio? È stato consigliere comunale del Psi, avvocato, ucciso nel 1978 sempre a Ottaviano. E Simonetta Lamberti, uccisa a Cava dei Tirreni nel 1982. Aveva dieci anni e la sua colpa era essere la figlia del giudice che andava punito. Le scariche del killer raggiunsero lei al posto del loro obiettivo. Qualcuno di questi nomi vi è noto? Temo solo ad addetti ai lavori o militanti di qualche organizzazione antimafia. Questi nomi sono dimenticati. Colpevolmente dimenticati. Come, temo, lo sarà presto quello di Angelo Vassallo. Ai funerali di Antonio Cangiano, vicesindaco di Casal di Principe gambizzato dalla camorra nel giugno 1988 e da allora costretto sulla sedia a rotelle, non c'era nessun dirigente della sinistra. Tutto sembra immobile in territori dove non riusciamo nemmeno a ottenere il minimo, l'anagrafe pubblica degli eletti per sapere esattamente chi ci governa.
Le indagini sull'omicidio di Angelo Vassallo vanno in tutte le direzioni, si sta scavando nel passato e nel presente del sindaco. Perché, come mi è capitato di dire altrove, in queste terre quando si muore si è sottoposti a una legge eterna: si è colpevoli sino a prova contraria. I criteri del diritto sono ribaltati. E quindi già iniziano a sentirsi voci di ogni genere, ma nulla tralascerà la Dda. L'aveva scritto Bruno Arpaia (non a caso nato a Ottaviano) nel suo bel libro Il passato davanti a noi, che mentre i militanti delle varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare sognavano Parigi o Pechino per far la rivoluzione e scappavano a Milano a occupare università o fabbriche, non si accorgevano che al loro paese si moriva per un no dato ad un appalto, per aver impedito a un'impresa di camorra di fare strada.
È in quei posti invisibili, apparentemente marginali che si costruisce il percorso di un Paese. Tutto questo non si è visto in tempo e oggi si continua a ignorarlo. La scelta del sindaco in un comune del Sud determina l'equilibrio del nostro Paese più che un Consiglio dei ministri. Al Sud governare è difficile, complicato, rischioso. Amministratori perbene e imprenditori sani ci sono, ma sono pochi e vivono nel pericolo.
In queste ore a Venezia verrà proiettato sul grande schermo "Noi credevamo" di Mario Martone, una storia risorgimentale che parte proprio dal Cilento, dal sud Italia. Forse in queste ore di sgomento che seguono la tragedia del sindaco Angelo Vassallo vale la pena soffermarsi sull'unico risorgimento ancora possibile che è quello contro le organizzazioni criminali. Un risorgimento che non deve declinarsi come una conquista dei sani poteri del Nord verso i barbari meridionali: del resto è una storia che già abbiamo vissuto e che ancora non abbiamo metabolizzato. Ma al contrario deve investire sul Mezzogiorno capace di innovazione, ricerca, pulizia, che forse è nascosto ma esiste. Deve scommettere sulla possibilità che il Paese sappia imporre un cambiamento. E che da qui parta qualcosa che mostri all'intera Italia il percorso da prendere. È la nostra ultima speranza, la nostra sola risorsa. Noi ci crediamo.
DUE pistole che sparano, le pallottole che colpiscono al petto, un agguato che sembra essere anche un messaggio. Così uccidono i clan. Così hanno ucciso Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno. Si muore quando si è soli, e lui - alla guida di una lista civica - si opponeva alle licenze edilizie, al cemento che in Cilento dilaga a scapito di una magnifica bellezza. Ma Angelo Vassallo rischia di morire per un giorno soltanto e di essere subito dimenticato.
Come se fosse normale, fisiologico per un sindaco del meridione essere vittima dei clan. E invece è uno scandalo della democrazia. Del resto - si dice - è così che va nel sud, accade da decenni. "Veniamo messi sulla cartina geografica solo quando sparano. O quando si deve scegliere dove andare in vacanza", mi dice un vecchio amico cilentano. In questo caso le cose coincidono. Terra di vacanze, terra di costruzioni, terra di business edilizio che "il sindaco-pescatore" voleva evitare a tutti i costi.
Questa estate è iniziata all'insegna degli slogan del governo sui risultati ottenuti nella lotta contro le mafie. Risultati sbandierati, urlati, commettendo il grave errore di contrapporre l'antimafia delle parole a quella dei fatti. Ma ci si deve rendere conto che non è possibile delegare tutto alle sole manette o al buio delle celle. Senza racconto dei fatti non c'è possibilità di mutare i fatti.
E anche questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso. Ma lo spazio e la luce dati alla terra dei clan sono sempre troppo pochi. I magistrati fanno quello che possono. I clan dell'agro-nocerino in questo momenti sono tutti sotto osservazione: quelli di Scafati capeggiati da Franchino Matrone detto "la belva", o gli uomini di Salvatore Di Paolo detto "il deserto", quelli di Pagani capeggiati da Gioacchino Petrosino detto "spara spara", il clan di Aniello Serino detto "il pope", il clan Viviano di Giffoni, i Mariniello di Nocera inferiore e Prudente di Nocera superiore, i Maiale di Eboli.
Il fatto è che il Cilento, terra magnifica, ha su di sé gli occhi e le mani delle organizzazioni criminali che, quasi fossero la nemesi della nostra classe politica, eternamente in lotta, si scambiano favori, si spartiscono competenze pur di trarre il massimo profitto da una terra che ha tutte le caratteristiche per poter essere definita terra di nessuno e quindi terra loro. I Casalesi sono da sempre interessati all'area portuale, così come i Fabbrocino dell'area vesuviana hanno molti interessi in zona. Giovanni Fabbrocino, nipote del boss Mario Fabbrocino, gestisce a Montecorvino Rovella, un paesino alle soglie del Cilento, la concessionaria della Algida nella provincia più estesa d'Italia, il Salernitano appunto. Il clan Fabbrocino è uno dei più potenti gruppi camorristici attualmente noti e intrattiene legami con i calabresi.
Oggi le 'ndrine nel Salernitano contano molto di più e hanno interessi che vanno oltre lo scambio di favori. Il porto di Salerno, su autorizzazione dei clan di camorra, è sempre stato usato dalle 'ndrine per il traffico di coca, soprattutto da quando il porto di Gioia Tauro è divenuto troppo pericoloso. Il potentissimo boss di Platì Giuseppe Barbaro, per esempio, è stato catturato a dicembre 2008 mentre faceva compere natalizie a Salerno. In tutto questo, il cordone ombelicale che ha legato camorra e 'ndrangheta porta un nome fin troppo evidente: A3, ovvero autostrada Salerno-Reggio Calabria. Nel Salernitano sono impegnate diverse ditte dalla reputazione tutt'altro che specchiata. La "Campania Appalti srl" di Casal di Principe avrebbe dovuto costruire le strade intorno al futuro termovalorizzatore di Cupa Siglia. L'impresa delle famiglie Bianco e Apicella è stata raggiunta da un'interdittiva antimafia dopo le indagini della sezione salernitana della Direzione Investigativa Antimafia. Secondo gli investigatori, l'impresa rientra nel giro economico del clan dei Casalesi ed è nelle mani di uomini vicini a Francesco Schiavone.
È così diverso oggi dagli anni '80 e '90? Di che territorio stiamo raccontando? Di una Regione dove per la gare d'appalto per la raccolta rifiuti bisogna chiamare una impresa ligure perché in Campania non se ne trova una che non abbia legami con la camorra. Nemmeno una. Se da un lato si arresta dall'altro lato non c'è affatto una politica che tenda a interrompere il rapporto con le organizzazioni criminali. L'attuale presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro, soprannominato "Gigino a' purpetta" (Luigino la polpetta), fu arrestato nel 1984 in un'operazione contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Nel 1985 il Tribunale di Napoli condannò Cesaro a 5 anni di reclusione "per avere avuto rapporti di affari e amicizia con tutti i dirigenti della camorra napoletana fornendo mezzi, abitazioni per favorire la latitanza di alcuni membri, e dazioni di danaro". Nel 1986 in appello il verdetto fu ribaltato e Cesaro venne assolto per insufficienza di prove. La decisione fu poi confermata dalla Corte di Cassazione presieduta dal noto giudice ammazza sentenze Corrado Carnevale. Ma, come ha raccontato L'Espresso, nonostante Cesaro sia stato scagionato dalle accuse, gli stessi giudici che lo hanno assolto hanno stigmatizzato il preoccupante quadro probatorio a suo carico. Durante il processo, in aula, furono infatti confermati gli stretti rapporti che l'attuale presidente della provincia di Napoli intratteneva con i vertici della Nco (incluso don Raffaele Cutolo). Si parlava di una "raccomandazione" chiesta a Rosetta Cutolo, sorella di Raffaele, per far cessare le richieste estorsive di Pasquale Scotti, personaggio tuttora ricercato ed inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia. (Consiglio caldamente di fare una piccola ricerca su youtube per "Luigi Cesaro esilarante", ascolterete un monologo del presidente della provincia che sarà più eloquente delle mie parole).
Tutto questo non si può tacere. E chi lo tace è complice. Mi viene da chiedere a chi in questo momento sta leggendo queste righe se ha mai sentito parlare di Federico Del Prete, sindacalista ucciso nel 2002 a Casal di Principe. Se ha mai sentito parlare di Marcello Torre, sindaco di Pagani ucciso nel 1980 perché cercava di resistere a concedere alla camorra gli appalti per la ricostruzione post terremoto. E di Mimmo Beneventano vi ricordate? Consigliere comunale del Pci, trentadue anni, medico, fu ucciso nel 1980 a Ottaviano per ordine di Raffaele Cutolo perché ostacolava il suo dominio sulla città. E di Pasquale Cappuccio? È stato consigliere comunale del Psi, avvocato, ucciso nel 1978 sempre a Ottaviano. E Simonetta Lamberti, uccisa a Cava dei Tirreni nel 1982. Aveva dieci anni e la sua colpa era essere la figlia del giudice che andava punito. Le scariche del killer raggiunsero lei al posto del loro obiettivo. Qualcuno di questi nomi vi è noto? Temo solo ad addetti ai lavori o militanti di qualche organizzazione antimafia. Questi nomi sono dimenticati. Colpevolmente dimenticati. Come, temo, lo sarà presto quello di Angelo Vassallo. Ai funerali di Antonio Cangiano, vicesindaco di Casal di Principe gambizzato dalla camorra nel giugno 1988 e da allora costretto sulla sedia a rotelle, non c'era nessun dirigente della sinistra. Tutto sembra immobile in territori dove non riusciamo nemmeno a ottenere il minimo, l'anagrafe pubblica degli eletti per sapere esattamente chi ci governa.
Le indagini sull'omicidio di Angelo Vassallo vanno in tutte le direzioni, si sta scavando nel passato e nel presente del sindaco. Perché, come mi è capitato di dire altrove, in queste terre quando si muore si è sottoposti a una legge eterna: si è colpevoli sino a prova contraria. I criteri del diritto sono ribaltati. E quindi già iniziano a sentirsi voci di ogni genere, ma nulla tralascerà la Dda. L'aveva scritto Bruno Arpaia (non a caso nato a Ottaviano) nel suo bel libro Il passato davanti a noi, che mentre i militanti delle varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare sognavano Parigi o Pechino per far la rivoluzione e scappavano a Milano a occupare università o fabbriche, non si accorgevano che al loro paese si moriva per un no dato ad un appalto, per aver impedito a un'impresa di camorra di fare strada.
È in quei posti invisibili, apparentemente marginali che si costruisce il percorso di un Paese. Tutto questo non si è visto in tempo e oggi si continua a ignorarlo. La scelta del sindaco in un comune del Sud determina l'equilibrio del nostro Paese più che un Consiglio dei ministri. Al Sud governare è difficile, complicato, rischioso. Amministratori perbene e imprenditori sani ci sono, ma sono pochi e vivono nel pericolo.
In queste ore a Venezia verrà proiettato sul grande schermo "Noi credevamo" di Mario Martone, una storia risorgimentale che parte proprio dal Cilento, dal sud Italia. Forse in queste ore di sgomento che seguono la tragedia del sindaco Angelo Vassallo vale la pena soffermarsi sull'unico risorgimento ancora possibile che è quello contro le organizzazioni criminali. Un risorgimento che non deve declinarsi come una conquista dei sani poteri del Nord verso i barbari meridionali: del resto è una storia che già abbiamo vissuto e che ancora non abbiamo metabolizzato. Ma al contrario deve investire sul Mezzogiorno capace di innovazione, ricerca, pulizia, che forse è nascosto ma esiste. Deve scommettere sulla possibilità che il Paese sappia imporre un cambiamento. E che da qui parta qualcosa che mostri all'intera Italia il percorso da prendere. È la nostra ultima speranza, la nostra sola risorsa. Noi ci crediamo.
9/05/2010
NON RASSEGNARSI ALL`INSIGNIFICANZA
La debolezza politica dei cattolici si vede già nella formazione delle leggi
Vorrei pertanto usufruire di questo spazio per portare un contributo sul tema della presenza politica dei cattolici in Italia. Come tanti di noi ho vissuto il mese di agosto con angoscia e turbamento e mai avrei pensato che il dibattito politico potesse arrivare così in basso. Sono rimasto anche colpito dall’accoglienza riservata a Gheddafi. Da cristiano mi sono sentito offeso e soprattutto impotente.
Questi fatti ci obbligano a riflessioni attente e puntuali sul significato della presenza politica dei cattolici in Italia, perché sono il segno di un degrado morale e culturale che si dovrebbe cercare di fermare o, per lo meno, contenere. Ma occorre uscire dagli schemi che hanno caratterizzato questi quindici anni in cui i cattolici hanno discusso se stare con Berlusconi o con Prodi – Veltroni. Ci siamo appassionati, ma tutto ciò non regge più, anzi, credo abbia contribuito a rendere debole e a tratti insignificante la presenza politica dei cattolici italiani.
Certo, i cristiani impegnati in politica hanno cercato di agire e di essere presenti sui grandi temi della vita, della famiglia, del lavoro e altro, ma senza riuscire ad essere incisivi perché sempre ha predominato l’esigenza di mediazione interna agli schieramenti. Nemmeno hanno aiutato le continue critiche general generiche alla politica, come se tutti fossero uguali e agissero allo stesso modo. Così non si aiuta il discernimento.
A volte ho l’impressione che nel nostro mondo e anche in una parte della gerarchia, ci sia un timore a essere precisi sulle singole responsabilità per non essere accusati di schieramento. Si preferisce il discorso generale che mortifica coloro che giorno dopo giorno si impegnano con attenzione e si contribuisce anche a ridurre la morale in moralismo. Sul degrado della politica, sulla corruzione, sul malaffare, sulla produzione normativa ci sono responsabilità precise. Non si può dire che vogliamo favorire un governo solidale e umano dell’immigrazione e dell’accoglienza e poi tacere o lasciare a pochi l’obbligo della denuncia di chi produce una tolleranza giustificatrice verso atteggiamenti discriminatori. Capisco le prudenze e le attenzioni verso un radicamento territoriale, ma bisogna anche vedere come si persegue questo radicamento. Basta guardare qualche delibera di giunta comunale per trovare i germi della discriminazione. Inveire contro corruzione e malaffare ma evitare nomi e cognomi non serve a molto, se non a rivendicare: “l’ho detto”.
Con questi atteggiamenti si finisce per contribuire ad alimentare il discredito verso la politica e indurre i cattolici a chiamarsi fuori, rafforzando così il disimpegno politico e il maggior partito italiano formato da coloro che non si recano più a votare.
Il moralismo di molte posizioni ha un’altra ricaduta politica che non bisogna sottovalutare: la diaspora dei cattolici. La distinzione tra diaspora e pluralismo va sottolineata, soprattutto oggi che avvertiamo con non poca sofferenza il determinarsi di una diluizione che sempre più si avvicina all’insignificanza della presenza dei cristiani in politica. Quello che mi preoccupa – senza offesa per nessuno e dando atto all’impegno dei singoli – è la modestia dell’influenza del pensiero cristiano sulla formazione delle leggi, sulla progettazione del futuro unitario dell’Italia, sulla politica europea e internazionale e sulla quotidianità dell’amministrare. Da parlamentare a volte m’interrogo se valga più la presenza in Parlamento o l’impegno su campi e terreni più vicini alla mia esperienza sociale e sindacale. Lo dico anche pensando alla debolezza del rapporto con le associazioni cristiane nelle quali ho militato, quasi che l’impegno politico abbia creato una cesura, un distacco. Eppure come parlamentari cristiani, indipendentemente dalla forza politica cui aderiamo, avremmo bisogno, nella reciproca autonomia, di rapporti più costanti o di sollecitazioni più decise, soprattutto quando si devono affrontare certe deliberazioni o progettazioni che non sempre sono conformi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa.
Assodato che evitare il crescere della diaspora non significa mettere in discussione il pluralismo dell’impegno politico dei cattolici, mi domando se si debba rinunciare a una presenza politica di cattolici italiani in forma partito in cui il riferimento all’ispirazione cristiana sia chiaro ed evidenziato, quasi che questa ipotesi sia una forma di neointegralismo, che per la verità – in spirito di difesa – vedo sorgere più nelle “correnti o tendenze cattoliche” presenti nei partiti maggiori.
Dopo quindici anni di seconda repubblica è forse arrivato il momento di interrogarci se non sia utile avere nel Parlamento e nel Paese una forza politica che abbia e proponga una visione chiara e formata dall’ispirazione cristiana sui problemi che hanno fondamentale rilevanza per i cattolici: questioni bioetiche, famiglia, matrimonio, scuola, immigrazione, disagio sociale, povertà, lavoro ed economia civile, difesa dell’infanzia e della parità uomo donna. Questo non nega il valore e la necessità della mediazione, del dialogo, del confronto convergente e della laicità, anzi, dà corpo a questi elementi e potrebbe essere utile anche per i cattolici che hanno scelto di militare in altri contenitori politici. Conosciamo le difficoltà che molti vivono quando devono confrontarsi all’interno di uno stesso partito con una concezione liberista, populista, localista e post-comunista (il termine è infelice, ma non ne trovo uno migliore visto che quello social-democratico non è molto gradito). Quindi una presenza di chiara ispirazione cristiana potrebbe essere utile anche per far germinare quelle mediazioni parlamentari in cui l’etica cristiana non sia obnubilata. Ma anche coloro che si dichiarano cristianamente ispirati devono essere capaci di innovazione, di coerenze continue, di darsi una dimensione nuova.
Non possiamo dimenticare che politici di statura morale e politica come De Gasperi, Moro – per non parlare di cattolici eminenti come Giorgio La Pira, Igino Giordani, Lazzati, Lodovico Montini, Giulio Pastore e tanti altri, alcuni dei quali ho avuto la fortuna di conoscere – crebbero politicamente in un partito in cui, nonostante i tanti tradimenti, l’ispirazione cristiana aveva un valore significativo e importante. I nostri Pastori – dal Santo Padre ai Vescovi – chiedono incessantemente di contribuire alla formazione di una nuova classe dirigente di cattolici per il Paese. Discutiamo allora di come l’ispirazione cristiana si concretizza e delle forme con cui ci si organizza.
In politica una delle debolezze che i cattolici si portano dietro e che fu una delle cause della fine della Dc, è la scarsa attrezzatura culturale. Non vorrei essere equivocato; so bene che esistono fondazioni, centri culturali, scuole di formazione alla politica a cui partecipo con passione. Ci sono l’insegnamento del magistero ecclesiale, i convegni, le settimane sociali, un patrimonio di idee e proposte forti e interessanti. Ciò che a mio parere manca è la traduzione della visione cristiana in disegni di legge che per il loro valore umano e sociale possano ottenere un consenso trasversale. La debolezza culturale molte volte lascia spazio a culture politiche che da destra e sinistra si ispirano al laicismo di matrice illuministico-radicale che poco hanno a che fare con l’antropologia cristiana e il personalismo solidale cristiano.
Non sono in grado oggi, nonostante il mio impegno, di prefigurare con chiarezza il futuro della presenza politica dei cattolici italiani, ma questo non mi esime dal pormi e dal porre domande, di interrogarmi e di interrogare. Vorrei che lo facessimo tutti con tanta libertà, senza continuare a rimproverarci gli errori che nel passato ognuno di noi ha compiuto, ma volgendo lo sguardo al futuro, coscienti dell’essenzialità di questa presenza per il nostro Paese e per la Chiesa che amiamo. Mai come nell’ora presente occorre esercitare l’impegno politico con “i fianchi cinti”, disponibili a partire, ad attraversare il deserto per non restare prigionieri del Faraone. Il tema di fondo è come non rassegnarsi all’insignificanza e alla debolezza. Non è solo una questione di numeri, di posti, di ruoli che pure in politica hanno un significato, ma di qualità della presenza che è fatta di competenze ma anche di una passione civile, alimentata da una ricerca di spiritualità e di pensiero. Alla politica del fare, al pragmatismo senz’anima, occorre presentare una dimensione della politica sorretta da un pensiero, da una chiara visione antropologica, perché oggi più di ieri siamo chiamati, pur con le nostre debolezze, a resistere alla potenza del denaro, dell’immagine e del potere per il potere.
Occorre farlo con la libertà che è propria del cristiano.
Savino Pezzotta
Vorrei pertanto usufruire di questo spazio per portare un contributo sul tema della presenza politica dei cattolici in Italia. Come tanti di noi ho vissuto il mese di agosto con angoscia e turbamento e mai avrei pensato che il dibattito politico potesse arrivare così in basso. Sono rimasto anche colpito dall’accoglienza riservata a Gheddafi. Da cristiano mi sono sentito offeso e soprattutto impotente.
Questi fatti ci obbligano a riflessioni attente e puntuali sul significato della presenza politica dei cattolici in Italia, perché sono il segno di un degrado morale e culturale che si dovrebbe cercare di fermare o, per lo meno, contenere. Ma occorre uscire dagli schemi che hanno caratterizzato questi quindici anni in cui i cattolici hanno discusso se stare con Berlusconi o con Prodi – Veltroni. Ci siamo appassionati, ma tutto ciò non regge più, anzi, credo abbia contribuito a rendere debole e a tratti insignificante la presenza politica dei cattolici italiani.
Certo, i cristiani impegnati in politica hanno cercato di agire e di essere presenti sui grandi temi della vita, della famiglia, del lavoro e altro, ma senza riuscire ad essere incisivi perché sempre ha predominato l’esigenza di mediazione interna agli schieramenti. Nemmeno hanno aiutato le continue critiche general generiche alla politica, come se tutti fossero uguali e agissero allo stesso modo. Così non si aiuta il discernimento.
A volte ho l’impressione che nel nostro mondo e anche in una parte della gerarchia, ci sia un timore a essere precisi sulle singole responsabilità per non essere accusati di schieramento. Si preferisce il discorso generale che mortifica coloro che giorno dopo giorno si impegnano con attenzione e si contribuisce anche a ridurre la morale in moralismo. Sul degrado della politica, sulla corruzione, sul malaffare, sulla produzione normativa ci sono responsabilità precise. Non si può dire che vogliamo favorire un governo solidale e umano dell’immigrazione e dell’accoglienza e poi tacere o lasciare a pochi l’obbligo della denuncia di chi produce una tolleranza giustificatrice verso atteggiamenti discriminatori. Capisco le prudenze e le attenzioni verso un radicamento territoriale, ma bisogna anche vedere come si persegue questo radicamento. Basta guardare qualche delibera di giunta comunale per trovare i germi della discriminazione. Inveire contro corruzione e malaffare ma evitare nomi e cognomi non serve a molto, se non a rivendicare: “l’ho detto”.
Con questi atteggiamenti si finisce per contribuire ad alimentare il discredito verso la politica e indurre i cattolici a chiamarsi fuori, rafforzando così il disimpegno politico e il maggior partito italiano formato da coloro che non si recano più a votare.
Il moralismo di molte posizioni ha un’altra ricaduta politica che non bisogna sottovalutare: la diaspora dei cattolici. La distinzione tra diaspora e pluralismo va sottolineata, soprattutto oggi che avvertiamo con non poca sofferenza il determinarsi di una diluizione che sempre più si avvicina all’insignificanza della presenza dei cristiani in politica. Quello che mi preoccupa – senza offesa per nessuno e dando atto all’impegno dei singoli – è la modestia dell’influenza del pensiero cristiano sulla formazione delle leggi, sulla progettazione del futuro unitario dell’Italia, sulla politica europea e internazionale e sulla quotidianità dell’amministrare. Da parlamentare a volte m’interrogo se valga più la presenza in Parlamento o l’impegno su campi e terreni più vicini alla mia esperienza sociale e sindacale. Lo dico anche pensando alla debolezza del rapporto con le associazioni cristiane nelle quali ho militato, quasi che l’impegno politico abbia creato una cesura, un distacco. Eppure come parlamentari cristiani, indipendentemente dalla forza politica cui aderiamo, avremmo bisogno, nella reciproca autonomia, di rapporti più costanti o di sollecitazioni più decise, soprattutto quando si devono affrontare certe deliberazioni o progettazioni che non sempre sono conformi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa.
Assodato che evitare il crescere della diaspora non significa mettere in discussione il pluralismo dell’impegno politico dei cattolici, mi domando se si debba rinunciare a una presenza politica di cattolici italiani in forma partito in cui il riferimento all’ispirazione cristiana sia chiaro ed evidenziato, quasi che questa ipotesi sia una forma di neointegralismo, che per la verità – in spirito di difesa – vedo sorgere più nelle “correnti o tendenze cattoliche” presenti nei partiti maggiori.
Dopo quindici anni di seconda repubblica è forse arrivato il momento di interrogarci se non sia utile avere nel Parlamento e nel Paese una forza politica che abbia e proponga una visione chiara e formata dall’ispirazione cristiana sui problemi che hanno fondamentale rilevanza per i cattolici: questioni bioetiche, famiglia, matrimonio, scuola, immigrazione, disagio sociale, povertà, lavoro ed economia civile, difesa dell’infanzia e della parità uomo donna. Questo non nega il valore e la necessità della mediazione, del dialogo, del confronto convergente e della laicità, anzi, dà corpo a questi elementi e potrebbe essere utile anche per i cattolici che hanno scelto di militare in altri contenitori politici. Conosciamo le difficoltà che molti vivono quando devono confrontarsi all’interno di uno stesso partito con una concezione liberista, populista, localista e post-comunista (il termine è infelice, ma non ne trovo uno migliore visto che quello social-democratico non è molto gradito). Quindi una presenza di chiara ispirazione cristiana potrebbe essere utile anche per far germinare quelle mediazioni parlamentari in cui l’etica cristiana non sia obnubilata. Ma anche coloro che si dichiarano cristianamente ispirati devono essere capaci di innovazione, di coerenze continue, di darsi una dimensione nuova.
Non possiamo dimenticare che politici di statura morale e politica come De Gasperi, Moro – per non parlare di cattolici eminenti come Giorgio La Pira, Igino Giordani, Lazzati, Lodovico Montini, Giulio Pastore e tanti altri, alcuni dei quali ho avuto la fortuna di conoscere – crebbero politicamente in un partito in cui, nonostante i tanti tradimenti, l’ispirazione cristiana aveva un valore significativo e importante. I nostri Pastori – dal Santo Padre ai Vescovi – chiedono incessantemente di contribuire alla formazione di una nuova classe dirigente di cattolici per il Paese. Discutiamo allora di come l’ispirazione cristiana si concretizza e delle forme con cui ci si organizza.
In politica una delle debolezze che i cattolici si portano dietro e che fu una delle cause della fine della Dc, è la scarsa attrezzatura culturale. Non vorrei essere equivocato; so bene che esistono fondazioni, centri culturali, scuole di formazione alla politica a cui partecipo con passione. Ci sono l’insegnamento del magistero ecclesiale, i convegni, le settimane sociali, un patrimonio di idee e proposte forti e interessanti. Ciò che a mio parere manca è la traduzione della visione cristiana in disegni di legge che per il loro valore umano e sociale possano ottenere un consenso trasversale. La debolezza culturale molte volte lascia spazio a culture politiche che da destra e sinistra si ispirano al laicismo di matrice illuministico-radicale che poco hanno a che fare con l’antropologia cristiana e il personalismo solidale cristiano.
Non sono in grado oggi, nonostante il mio impegno, di prefigurare con chiarezza il futuro della presenza politica dei cattolici italiani, ma questo non mi esime dal pormi e dal porre domande, di interrogarmi e di interrogare. Vorrei che lo facessimo tutti con tanta libertà, senza continuare a rimproverarci gli errori che nel passato ognuno di noi ha compiuto, ma volgendo lo sguardo al futuro, coscienti dell’essenzialità di questa presenza per il nostro Paese e per la Chiesa che amiamo. Mai come nell’ora presente occorre esercitare l’impegno politico con “i fianchi cinti”, disponibili a partire, ad attraversare il deserto per non restare prigionieri del Faraone. Il tema di fondo è come non rassegnarsi all’insignificanza e alla debolezza. Non è solo una questione di numeri, di posti, di ruoli che pure in politica hanno un significato, ma di qualità della presenza che è fatta di competenze ma anche di una passione civile, alimentata da una ricerca di spiritualità e di pensiero. Alla politica del fare, al pragmatismo senz’anima, occorre presentare una dimensione della politica sorretta da un pensiero, da una chiara visione antropologica, perché oggi più di ieri siamo chiamati, pur con le nostre debolezze, a resistere alla potenza del denaro, dell’immagine e del potere per il potere.
Occorre farlo con la libertà che è propria del cristiano.
Savino Pezzotta
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