
Ogni adolescente d'estate, prima di uscire la sera indossa il suo vestito più bello, si passa il lucidalabbra che ha il divieto di esibire a scuola, e in bilico sui tacchi alti affronta le strade inzuppate dai neon, le ragnatele di sguardi ammiccanti. Si esce per questo, perché finalmente si ha il permesso di farlo. Ballare al centro di una discoteca affollata e afferrare tutto quanto sembra a portata di mano. Ma tutto cosa? Le due ragazze che esagerano con i drink e si lasciano guardare non lo sanno, neppure i ragazzi che le seguono con gli occhi e le vogliono lo sanno. Dimenare braccia e gambe a ritmo di musica, adesso, significa esistere. Quando una mano afferra la tua e ti trascina in disparte, tu non puoi fare a meno di sentirti preziosa. Hai bevuto molti cocktail per trovare il coraggio, anche se non sai a cosa ti serve, e ti lasci condurre lontano dal frastuono di mille decibel e dalle grida degli amici. Ti trovi improvvisamente sola, in balìa di uno sconosciuto che potrebbe esserti amico e invece non lo è. Il buio confonde il resto. Quando ti accorgi che quelle che hai intorno sono le pareti squallide di un bagno pubblico, e la voce del ragazzo che hai di fronte ti è troppo dentro le orecchie e non è più innocua, è tardi e sta accadendo a te, a te, non a un'altra.
Adesso che è l'alba e un netturbino ti raccoglie da terra seminuda e sporca, adesso che una pattuglia dei carabinieri si accosta al marciapiede che percorri senza conoscere il nome della via, tu non hai nessuna colpa. Non hai ancora avuto il tempo, forse non lo avrai mai, di portare a cognizione quel dolore. Eri uscita di casa, semplicemente, con il tremore e la fame di un'estate indimenticabile, com'è giusto che sia, ti eri sciolta i capelli, avevi dato un colpo di telefono ai tuoi per rassicurarli, come tutte le ragazze della tua età.
Silvia Avallone
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