6/07/2008

La speranza...dall'Indonesia!


Un parallelismo con l’Indonesia mi corre spontaneo dopo alcune mie ricerche, per aprirci una speranza ad una vita civica “partecipata” ancora possibile.
L’Indonesia è definito paese “arbitrario” perché costruito sulle politiche coloniali olandesi e poi sulla militarizzazione diffusa che ancora oggi stenta a lasciare spazio ad istituzioni civili.
Contro questo centrismo tante sono le spinte verso una democratizzazione locale che tanti movimenti civici stanno combattendo.
Oggi, nel più grande paese asiatico a prevalenza mussulmana si tenta di ricostruire la democrazia a partire “dal basso” .
Leggendo dei percorsi che vengono da lontano dal punto di vista della lotta alla corruzione e del bisogno di trasparenza. Come il bilancio partecipativo di cui alcuni territori dell’arcipelago indonesiano oggi tenta un adattamento critico.
Solo da pochi anni il paese va vivendo una transizione verso la democrazia, sotto lo slogan “Bhinneka Tunggal Ika(Unità nella diversità), e lo fa tra mille contraddizioni e guerriglie interne all’arcipelago che minaccia l’indipendenza nazionale.
Eppure qualcosa “dal basso” si muove, riflettendo su come una vera democrazia sia impossibile da conquistare se su di essa non si fanno investimenti e non si ha la pazienza di stimolare un cambiamento della cultura politica, impantanata nella corruzione dei governanti come dei funzionari pubblici di ogni ordine e grado.
E cosi che da due anni è partita una campagna per la moralizzazione dell’amministrazione pubblica, condotta insieme a movimenti popolari e studenteschi, associazioni della società civile, finanziata da enti governativi e banche mondiali.
Si cerca di ribaltare il triste primato che vede l’Indonesia al terzo posto nel mondo per sprechi di risorse pubbliche dovute alla corruzione, secondo la classifica di di Trasparency International.
In ogni isoletta di questo immenso arcipelago(14.000) tate esperienze che vanno controcorrente rispetto ad alcune consuetudini apparentemente immodificabili.
Masriadi Martunus, reggente del Tamah Datar, regione con circa 350.000 abitanti è stato scelto come “testimone di un cambiamento possibile” rappresentate al seminario internazionale di trasparency International svoltosi in Corea del Sud, dove si ricercano strategie per far germogliare “dal basso” un unione virtuosa del decentramento e della partecipazione.
La mia azione, sostiene Masriadi, unisce una predisposizione personale al dialogo con i cittadini alla dirittura morale,senza sottacere la libertà che la mia ricchezza mi da dal vincolante sistema delle tangenti politico-amministrative in cui sono stato catapultato.
Nominato reggente nel 2002, ha subito puntato sullo snellimento della macchina amministrativa dove la mancanza di trasparenza gestionale e la corruzione diffusa tendevano a duplicare i costi di ogni opera e servizio pubblico, riducendone il livello e qualità. Per prima cosa ha innalzato il livello formativo dei dipendenti e ridotto drasticamente i dipartimenti, andando controcorrente rispetto alla ridondanza consociativa tipica del posto.
Mansiaridi , allo scopo di coinvolgere i cittadini, ha cerato un peculiare Bilancio Partecipativo su un bilancio di circa 30 milioni di euro, di cui il 13-15% destinato ad opere e servizi partecipati.
Dichiarava: non è semplice coinvolgere le persone a partecipare alle assemblee, perché non hanno fiducia nel sistema che li chiama a raccolta. Si immaginano che siano occasioni di costruzione del consenso e che nulla cambierà. Sono convinto che solo i cattivi politici possano giustificare un’assenza di partecipazione alle scelte, dicendo che gli abitanti sono stati chiamati ma non sono venuti a discutere. Un buon politico ha molti modi per dare successo alle pratiche partecipative, ma deve fare su di esse un forte investimento. Intanto, sei dai rapida esecuzione alle opere richieste, sono gli stessi risultati a richiamare i cittadini, come è successo a noi con il rinnovamento del sistema stradale. Poi perché può aprire il controllo popolare su ogni fase della realizzazione, un osservatorio popolare che da trasparenza alla gestione amministrativa.
Ci vuole molta volontà politica e bisogna essere pazienti, perseveranti e cocciuti. Non basta essere onesti e volenterosi. Bisogna lavorare per accorciare le distanze tra la politica ed i cittadini che nella cultura locale sono enormi. Anche da un punto di vista della percezione soggettiva, il politico è visto come un semidio lontanissimo dalla vita normale. La difficoltà maggiore è che a volte la gente sembra non sapere che fare del denaro pubblico. Ma solo perché non è abituata a scegliere;va formata, assistita…..Poi la partecipazione è chiaro che richiama partecipazione, cosi come l’appetito vien mangiando. E poi si pone il problema di uno scarto non semplice:produrre sviluppo locale per avere nuove risorse per dare coerenza alle scelte fatte con i cittadini, che rischiano di essere una sommatoria di domande puntuali non collegate da un progetto culturale.
Mansriadi sa bene che la sua volontà politica di cambiamento sta' mettendo a rischio la sua carriera politica, creando molti malumori tra i potentati locali. Ma non sembra interessargli questo processo, lo preoccupa solo che questo esperimento innovativo non abbia seguito e tutto torni come prima. Il rischio che accettino di tornare ad essere delle “couch potatoes”distesi a mangiare Kerpik Balado davanti ad una TV che rimbecillisce.
Un altro ostacolo viene dall’Islam che impone di non vantarsi delle proprie opere e tenere un basso profilo.

Dall'Indonesia una speranza e stimolo a tentarci anche a Vietri , una spinta "dal basso", tanto che, più sotto di come siamo non è possibile.

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